Da "Venerdi' di Repubblica" del 1 marzo 1997 (pag. 130)


Lettera ad un poeta virtuale

di Vittorio Zambardino

Nel Caffe' Poetel di Agora' Telematica c'era una atmosfera da cerimonia iniziatica. Si veniva convocati con un messaggio nel quale ti dicevano qual'era la parola chiave per entrare nella stanza virtuale dove il caffe' sarebbe stato aperto (e chi era privo della parola di ingresso mai e poi mai srebbe stato ammesso). Una volta dentro - era un comunissimo "chat" - bisognava astenersi dallo scrivere alcunche' sullo schermo (altrimenti poteva capitare di essere rimproverati molto duramente).

Poteva digitare solo colui che era di turno, cioe' colui che trascriveva in telematica i propri versi. Erano, per la maggior parte delle volte, prove d'adolescenza protratta, amori perduti, depressioni liceali coccolate nel cuore di trentacinquenni molto tecnologici. Ma era roba vera. Parole "sincere", scritte da gente che si divertitva a metterel su carta e a farle leggere dagli altri attraverso quel mezzo cosi' ipertecnologico chiamato computer.

(omissis...)